Verso la metà degli anni ’80 ho completato lo sviluppo di un modello teorico che interpretava su base biofisica le dinamiche dei processi patologici cronico-degenerativi, ed in maniera più generale dell’invecchiamento organico. Sulla base di questo modello teorico ho successivamente sviluppato una tecnologia (Sistemi a Variazione di Entropia Delta-S) che coerentemente con questi principi era potenzialmente in grado di riattivare processi rigenerativi di tessuti ed organi senza l’utilizzo di cellule staminali.
Nel 2003 questa ricerca ha ricevuto l’approvazione europea per l’utilizzo ambulatoriale ed ospedaliero nella cirrosi epatica. I risultati degli studi di fase II sono stati pubblicati negli annali dell’Accademia delle Scienze di New York ed in altre pubblicazioni indicizzate. Nonostante questo successo iniziale, per ragioni legate alla mancanza di sponsor industriali, mi sono trovato nella sostanziale impossibilità economica di progressione in studi clinici di fase III.
Questa ricerca nella diffusione nella comunità scientifica è stata quindi superata da quella che ho sviluppato più tardi sul dolore cronico, oggi nota come Scrambler Therapy. Contrariamente a quello che molti credono, la “Scrambler Therapy” è nata indirettamente e quasi casualmente dai miei studi sulla rigenerazione, anche se inizialmente la consideravo (sbagliandomi) solo un supporto a questi ultimi.
In particolare nel campo della rigenerazione verso la fine degli anni ’80 sviluppai due linee di sperimentazione principali per verificare se i presupposti teorici che avevo ipotizzato erano effettivamente utilizzabili in clinica anche sull’uomo. La prima linea di ricerca riguardava la cirrosi epatica, dove le possibilità di successo erano prevedibilmente più alte per la maggior capacità rigenerativa dell’organo epatico.
Nel 2003 questa ricerca ha ricevuto l’approvazione europea per l’utilizzo ambulatoriale ed ospedaliero nella cirrosi epatica. I risultati degli studi di fase II sono stati pubblicati negli annali dell’Accademia delle Scienze di New York ed in altre pubblicazioni indicizzate. Nonostante questo successo iniziale, per ragioni legate alla mancanza di sponsor industriali, mi sono trovato nella sostanziale impossibilità economica di progressione in studi clinici di fase III. Questa ricerca nella diffusione nella comunità scientifica è stata quindi superata da quella che ho sviluppato più tardi sul dolore cronico, oggi nota come Scrambler Therapy. Contrariamente a quello che molti credono, la “Scrambler Therapy” è nata indirettamente e quasi casualmente dai miei studi sulla rigenerazione, anche se inizialmente la consideravo (sbagliandomi) solo un supporto a questi ultimi. In particolare nel campo della rigenerazione verso la fine degli anni ’80 sviluppai due linee di sperimentazione principali per verificare se i presupposti teorici che avevo ipotizzato erano effettivamente utilizzabili in clinica anche sull’uomo. La prima linea di ricerca riguardava la cirrosi epatica, dove le possibilità di successo erano prevedibilmente più alte per la maggior capacità rigenerativa dell’organo epatico.
La seconda linea di ricerca riguardava invece la rigenerazione delle fibre nervose, quasi una completa utopia in quei tempi, anche se Rita Levi Montalcini aveva da poco preso il Nobel (dicembre 1986) per la scoperta dell’ NGF, il fattore di crescita delle fibre nervose. Inevitabilmente occupandomi di lesioni nervose entrai in contatto con quella che viene per definizione considerata la peggiore forma di dolore cronico che si conosce in medicina, quello neuropatico, che sostanzialmente impediva la possibilità di studio sulle possibilità rigenerative delle lesioni nervose. Inizialmente cercai l’aiuto di specialisti del dolore, ma quando parlavo di dolore neuropatico erano più scoraggiati di me.
Per un lungo periodo mi rivolsi ad ogni genere di specialista del dolore, cercando soluzioni anche nell’agopuntura e nell’ipnosi clinica, ma questi dolori sembravano resistere a qualsiasi tentativo di trattamento. Stavo per rassegnarmi a questa situazione decidendo di continuare le mie ricerche solamente sulla cirrosi epatica, dove anche se sempre su limitata casistica, avevo già ottenuto risultati preliminari molto incoraggianti, e privi delle problematiche relative al dolore cronico che incontravo nelle lesioni nervose.
Proprio nei giorni in cui stavo maturando questa decisione, un' associazione di malati mi chiese di partecipare ad una loro riunione. Io accettai, e messo nuovamente di fronte a tanta sofferenza e speranze di queste persone, decisi che se non esisteva ancora una cura efficace per questi tipi di dolore, non necessariamente questo significava che era impossibile farlo.
Le mie conoscenze di neurofisiologia erano già abbastanza ampie e profonde, non mi fu quindi difficile integrarle con le conoscenze specialistiche della fisiopatologia del dolore cronico. Proprio mentre approfondivo queste conoscenze incontrai la teoria del Gate Control, cioè il modello dominante e comunemente accettato di comprensione dei meccanismi della percezione del dolore. Con un certo stupore mi resi immediatamente conto che questa teoria era applicabile solamente nel dolore acuto. Viceversa non trovavo affatto logica la sua applicazione nel dolore cronico, anche se convenzionalmente accettata nella comunità scientifica.
Capivo che questa mia valutazione era praticamente un’eresia vista l’importanza di questa teoria, il peso scientifico degli autori, le convalide ottenute sin dalla sua nascita, e successive alla piena consacrazione ottenuta dopo il fondamentale articolo pubblicato su Science nel 1965. Pensando quindi di aver tralasciato qualcosa, continuavo ad approfondire i miei studi, ma più facevo questo, più la mia convinzione dell’inapplicabilità di questa teoria al dolore cronico (specie quello neuropatico) si rafforzava.
Posso dire che è esattamente in questo momento che nasce la Scrambler Therapy, perché identificando quello che ritenevo un errore, avevo anche trovato la via di una possibile soluzione, che oggi è una realtà clinica non più sperimentale.
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